Periodicamente vengono pubblicati articoli online che riconducono la genesi delle emoji alla Teoria delle immagini che il filosofo di origine austriaca Ludwig Wittgenstein ha formulato nel Tractatus Logico-Philosophicus. Con molta probabilità una tra le principali fonti che hanno ispirato tante pagine web, spesso votate al clickbaiting, è un articolo scientifico pubblicato nel 2005 da Kristóf Nyíri, docente di Filosofia del linguaggio e Storia della filosofia all’Università di Pécs, in Ungheria.
L’analisi di Nyiri è molto complessa e articolata ma, sostanzialmente, ruota attorno alla visione che Wittgenstein ha del linguaggio: nel Tractatus, infatti, afferma che “la proposizione è un’immagine della realtà” intendendo dire che parole, frasi e simboli non hanno un significato intrinseco ma ottengono il loro valore rappresentativo attraverso le relazioni logiche che stabiliscono con il mondo reale.
Secondo il filosofo austriaco, infatti la comunicazione si rivela efficace se il linguaggio utilizzato porta con sé la capacità di rendere evidente la realtà, proprio come succede con dipinti che raffigurano paesaggi o illustrazioni che reificano concetti. Le emoji che ci supportano nell’esposizione emotiva quotidiana, considerate in quest’ottica, risulterebbero comprensibili soltanto all’interno di un complesso gioco linguistico, in una dinamica di significato che dipende dalle convenzioni, dal contesto sociale e dal tessuto culturale.
Di fronte a questo pullulare di pittogrammi digitali che direbbe, oggi, l’autore del Tractatus? Per certi versi potrebbe rimanere sorpreso da un successo così esteso della sua Teoria delle immagini, per altri, forse, deluso dal loro utilizzo spesso troppo banale; in ogni caso soddisfatto dal loro potenziale nel colmare lacune del linguaggio verbale e rivelarsi ponte tra significato e rappresentazione.
Marco Sanavio, direttore #Cubelive
Nyíri K., (2005) Wittgenstein: The philosopher and his works , Working Papers from the Wittgenstein Archives at the University of Bergen n. 17,