Quando il 30 marzo 2023 l’Area di Pedagogia dello IUSVE ha proposto un focus dal titolo “La bioetica globale, fra medicina, ecologia e politica” si era ancora ai primi passi rispetto a un “terzo stato” delle cellule, sospese tra vita e morte.
Un recente studio condotto da un gruppo di ricerca coordinato da Peter A Noble (2024), docente all’interno del dipartimento di Microbiologia dell’Università dell’Alabama (USA), intitolato “Unraveling the Enigma of Organismal Death” ha cercato di approfondire i meccanismi di sopravvivenza di tessuti e cellule rispetto alla morte dell’intero organismo. Una ricerca sorprendente che restituisce nuovo impulso alla medicina rigenerativa e stimola ulteriori indagini sull’embriogenesi.
Altri ricercatori (Blascksiton et al., 2021) avevano scoperto come alcune cellule di rana, fornite di nutrienti, ossigeno e segnali elettrici o biochimici, possano trasformarsi in organismi multicellulari denominati “xenobot” con nuove funzioni, dopo la morte del batrace a cui sono appartenute: sono grado di automedicarsi, interagire con l’ambiente e attivare l’autoreplicazione cinematica (Kriegman et al., 2021), ovvero di riprodursi senza crescere.
Progetti sperimentali sono stati eseguiti anche su cellule dell’epitelio polmonare umano (Gumuskaya et al., 2023), da cui sono stati ricavate strutture biologiche viventi mobili, autocostruttive, multicellulari, denominate “anthrobot”, a causa della loro origine antropica.
Che i biobot ricavati da organismi viventi possano essere utili, a livello medico e terapeutico, è una prospettiva auspicabile ma vale la pena sorvegliare con grande attenzione la soglia etica rispetto alla quale viene permesso loro di sopravvivere ai corpi dai quali sono stati estratti, una volta cessate le funzioni vitali.
Marco Sanavio
direttore #Cubelive