Dal National astronomy meeting, organizzato dalla Royal astronomical society all’Università di Hull lo scorso luglio, è emersa una notizia alquanto singolare: è possibile distinguere le immagini reali dei volti umani, da quelle prodotte dall’Intelligenza Artificiale, grazie all’applicazione di un paio di metodi utilizzati in astronomia.
- La prima soluzione prevede l’utilizzo del coefficiente individuato dallo statistico Corrado Gini per parametrare la diseguaglianza, nella distribuzione, di un carattere trasferibile. Un indice utilizzato anche in ambito economico per quantificare le disparità di reddito che ha un valore compreso tra 0 e 1 e misura i dislivelli in un confronto.
- L’altra metodologia riguarda i parametri CAS, ovvero concentration, asymmetry, smoothness, utilizzati per quantificare la distribuzione della luce delle galassie e facilitarne una classificazione morfologica.
Concretamente tutta questa complessità si risolve mediante il controllo dei riflessi della luce su iridi e pupille dei soggetti ritratti: occhi illuminati dalla stessa fonte dovrebbero restituire riflessi simili e coerenti. Se così non fosse siamo di fronte a immagini generate dall’IA.
Per ammissione dello stesso astronomo Kevin Pimbblet, direttore del Centre of Excellence for Data Science, Artificial Intelligence and Modeling dell’Università di Hull che ha supervisionato la ricerca, la verifica tramite coefficiente di Gini non è perfetta e restituisce falsi positivi e falsi negativi.
Risponde, però, a un’esigenza a cui non bisognerebbe mai rinunciare, ovvero il controllo sulla veridicità della fonte: chi è abituato a cercare la luce nell’abisso celeste non può astenersi dal rintracciarne la corrispondenza nel volto umano.
Marco Sanavio, direttore #CubeLive